in

Fuse, con l’intelligenza artificiale alla ricerca della materia di cui sono fatti i sogni


“Noi siamo fatti con la stessa materia dei sogni”, dice Prospero nella Tempesta di Shakespeare, “e la nostra breve vita è racchiusa nel sonno”. Ma come sono fatti i sogni? Da millenni cercano una risposta a questa domanda poeti, maghi, pensatori, scienziati, filosofi e psicologi, ciascuno con gli strumenti a sua disposizione. Lo studio d’arte multidisciplinare fuse* ci prova con l’intelligenza artificiale e la creatività, in un’installazione chiamata Onirica (), nata in collaborazione con il Laboratorio di psicofisiologia del sonno e del sogno dell’Università di Bologna. “Il laboratorio esplora la creatività e l’attività mentale durante il sonno, noi abbiamo usato i loro dati per analizzare e creare visualizzazioni dei sogni attraverso l’intelligenza artificiale”, spiega Mattia Carretti. “Abbiamo lavorato con enormi dataset, tra cui la banca dei sogni dell’Università di Bologna e una simile dell’Università della California Santa Cruz. Utilizzando diverse tecniche di machine learning, abbiamo cercato correlazioni tra i sogni e creato mappe multidimensionali per visualizzare queste connessioni, creando così una “macchina dei sogni” che li trasforma in cortometraggi, e permette allo spettatore di “camminare” attraverso questi sogni in una sorta di viaggio audiovisivo”.

RomeCup 2024, Mattia Carretti: “L’IA e la macchina dei sogni”



Come avete cominciato a lavorare con l’intelligenza artificiale?
“Il primo progetto che abbiamo realizzato usando un algoritmo di AI in particolare GAN (Generative Adversarial Network), si chiama Artificial Botany ed è nato nel 2019. Da chimico di formazione, ho sempre trovato affascinanti queste figure a mezzo tra scienza e arte, come i botanici che tra il 1500 e 1800 studiavano la natura e la disegnavano, rappresentandola in vere e proprie opere d’arte. Affascinati da questo mondo, abbiamo creato una serie dove abbiamo raccolto questi grandi dataset di disegni di botanica e ne abbiamo generato altri. Nel tempo, il progetto si è evoluto, e abbiamo anche creato degli scienziati immaginari, che esplorano quel mondo della botanica parallela e surreale: qualcosa di simile al Codex Seraphinianus, però sfruttando il machine learning”.

 

Stazione Futuro

La macchina per vedere i sogni



Il vostro lavoro è più arte o scienza?
“Cerco sempre di fuggire dalle categorie, ho una formazione scientifica, però, come tutti noi, sono anche tante altre cose. Per me il confine tra arte, scienza, ingegneria, design c’è nel momento in cui decidi di fare qualcosa che magari ha un’utilità pratica e allora magari è più design, o risolve un problema e allora magari è più ingegneria. Se fai un progetto artistico, l’utilità è più dal punto di vista emotivo, di ispirazione, quindi sull’output finale e sullo scopo, probabilmente una differenza c’è, però nel processo e nel modo in cui si ragiona, nel modo in cui si crea, la curiosità è una caratteristica che accomuna tutte queste discipline. Neri Oxman è forse l’esempio più famoso di questa tendenza, che mette insieme arte, scienza, ingegneria, design e fa vedere come queste discipline si alimentano l’una con l’altra creando opere rivoluzionarie”.

Colloquio

Brigitta Muntendorf, alla Biennale Musica un’opera per voci create con l’intelligenza artificiale



È il progresso tecnologico che ispira l’arte o l’arte che cerca nella tecnologia nuovi mezzi espressivi? 
“C’è una frase di Ed Catmull, il fondatore di Pixar, che secondo me risponde benissimo a questa domanda: lui dice che l’arte sfida la tecnologia e la tecnologia ispira l’arte. Sono due facce della stessa medaglia, a volte è la tecnologia stessa a suggerire nuovi modi per raccontare storie, altre volte è la nostra necessità espressiva a cercare la tecnologia adatta per realizzarsi”.

David Bowie, parlando di come lui e Brian Eno hanno usato i sintetizzatori nella loro trilogia berlinese, diceva di aver deciso di non leggere le istruzioni. Quanto bisogna conoscere il funzionamento dell’intelligenza artificiale per poterla utilizzare in processi creativi come quelli di fuse*? 
“Lavoriamo in team multidisciplinari proprio perché c’è sempre bisogno di persone che conoscano molto bene tecnicamente quello che si può fare, però è importante anche uscire dagli schemi: devi conoscere le regole per poterle infrangere, soprattutto quando si tratta d’arte. Quando si fa qualcosa di artistico si deve mettere più che la tecnologia, altrimenti manca quell’aspetto che io chiamo anima, sentimento, sofferenza o felicità, insomma, tutto quello che è più umano. È vero che nel momento in cui sai utilizzare bene lo strumento riesci a raggiungere un livello di qualità più elevato, ma nell’arte, secondo me, puoi anche sbattertene di tutto e improvvisare”. 

Intelligenza artificiale

La fotocamera senza obiettivo che fa le “foto” grazie all’AI



Onirica è un lavoro sorprendente per impatto estetico, stupisce e meraviglia: ma è davvero quello il fine dell’opera d’arte? Non piuttosto stimolare a pensare?
“L’idea è usare lo stupore e la meraviglia come chiavi d’accesso per entrare in relazione con le persone attraverso le opere, per poi comunicare qualcosa di ancora più profondo e di più importante. Ad esempio, con Onirica () volevamo far nascere domande riguardo alla nostra relazione con le macchine e più in generale con la tecnologia. Volevamo far percepire come la tecnologia può modificare il modo con cui ci relazioniamo con noi stessi e con gli altri. Per questo, Insieme al progetto artistico, abbiamo avviato un’attività di divulgazione sull’AI, un campo dove c’è molta superficialità nell’approccio e nella comunicazione. Vogliamo sfruttare un’occasione artistica per generare consapevolezza nelle comunità e sperare che questa rivoluzione che cambierà radicalmente la nostra vita, sia gestita in un modo più etico, più sostenibile, più consapevole”.

Appena qualche anno fa si parlava di usare l’IA per compiti ripetitivi e noiosi: adesso che è più famosa l’intelligenza artificiale generativa, da creativi vi sentite messi in discussione? 
“Anche se usi l’AI per disegnare un’illustrazione, che prima magari facevi a mano, alla fine alcune cose rimangono e rimarranno sempre tue. Intanto l’iniziativa, cioè aver deciso di fare una certa cosa: l’intelligenza artificiale non sceglie volontariamente di fare un disegno, non ha ispirazione, non ha curiosità, non sente il desiderio innato di condividere qualcosa con gli altri. Poi la scelta. Sei tu che decidi se il risultato va bene, se modificarlo o pubblicarlo. Ma quello che è interessante di questo momento storico è che ci metterà in crisi, ci costringerà a chiederci cosa ci rende umani, cos’è effettivamente la creatività. È semplicemente un esercizio tecnico, oppure è scegliere quel disegno, in quel contesto, per raccontare quella storia e trasmettere determinate emozioni? A pensarci, è qualcosa di simile a quanto è successo con la fotografia: quando è nata probabilmente in molti hanno pensato che non avesse più senso dipingere, perché la realtà viene replicata molto meglio con le foto. In molti probabilmente hanno pensato che i fotografi non fossero in realtà artisti perché era la macchina fotografica a “generare” l’immagine. Oggi la pittura esiste ancora e allo stesso tempo uno scatto di Ansel Adams, ad esempio, è riconosciuto unanimemente come opera d’arte e Ansel Adams come artista. Magari Onirica () fra 10-15 anni sarà obsoleta, ma se ancora trasmetterà emozioni e messaggi e se ancora sarà un progetto significativo per le persone, allora vorrà dire che ci abbiamo messo qualcosa di più dell’IA”.

Cosa ci dice la canzone di Drake e The Weeknd sul futuro della musica creata con l’intelligenza artificiale



 

Qual è il limite più grande che avete incontrato lavorando con l’intelligenza artificiale? 
“Proprio in Onirica (), una cosa molto difficile è stata superare i bias cognitivi dei sistemi che abbiamo usato. Le figure umane, maschili e femminili, sono molto stereotipate, quindi lavorando con i prompt dovevamo cercare di uscire da questi luoghi comuni, altrimenti il rischio era quello che a livello visivo il risultato fosse mediocre, se non proprio “stupido”. Ma questi bias sono quelli della nostra società, li vediamo nelle riviste, nelle pubblicità, nei film, così abbiamo deciso di compensarli solo in parte, perché può essere interessante far scattare un dubbio nel pubblico, come è successo a noi”. 

Quindi non è una questione tecnica, non servono più teraflops?
“Scherzando potrei dire che per gli ingegneri che lavorano in studio con me avere più potenza di calcolo è molto importante; per me sì e no, nel senso che si possono già fare tantissime cose con quello che abbiamo, ma con sistemi più potenti potremo aumentare l’interazione in tempo reale con il pubblico, e poi chissà che altro. In ogni caso non è fondamentale per quello che facciamo, anzi, paradossalmente quando si hanno infinite possibilità è ancora più difficile riuscire a fare scelte eleganti e che hanno senso e significato. 

L’IA arriverà a ridefinire anche il rapporto tra opera e spettatore?
“Stiamo lavorando a una versione live di Onirica () con un performer : le visualizzazioni sono generate sul palco nel momento in cui vengono raccontate dalle voci artificiali, però sono condizionate  anche dal movimento di un corpo, così il risultato è ogni volta diverso, accade solo in quel momento ed è irripetibile. Per me è molto interessante poeticamente. Quando progettiamo un’installazione, ne creiamo diverse declinazioni sotto forma di stampe, quadri, video: è lo stesso concept in varie forme espressive. A me piace ancora sperimentare le opere dal vivo, in esperienze collettive o individuali, nel mondo reale, non virtuale”. 

 

500 italiani e italiane che contano nell’Intelligenza Artificiale





Leggi di più su repubblica.it

Written by bourbiza mohamed

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

E’ stato un vero pilastro della Valmarecchia, la comunità in lutto per la scomparsa di don Mansueto

La lettera politica di Ilaria Salis dal carcere: “Sono caduta in un pozzo profondissimo, mi chiedo se ci sia uscita. Ma non ho dubbi su quale sia la parte giusta della storia”