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Viaggio nei Campionati mondiali di Pokémon: c’è anche un italiano tra i primi quattro


È stato un potente rullo di taiko, i caratteristici tamburi giapponesi che vengono suonati per evocare o omaggiare i kami (le divinità) ad aprire ufficialmente il Pokémon World Championship, il Campionato mondiale di Pokémon che si è svolto a Yokohama dall’11 al 13 agosto.

Un’occasione speciale non solo per celebrare uno dei marchi più famosi al mondo ma perché per la prima volta dalla sua nascita nel 2004 la manifestazione si è svolta in Giappone. Sembra impossibile, ma sinora la più grande competizione mondiale dedicata ai Pokémon si è svolta negli Stati Uniti, in Canada, a Londra ma non sul suolo amico. Nemo Pikachu in patria, almeno finora.

“I Pokémon sono un brand peculiare – ci ha spiegato Takato Utsunomiya, direttore operativo di The Pokémon Company – perché gestito da tre società, Nintendo, GameFreak e Creatures. Questo ci permette di avere un continuo confronto fra realtà differenti che si concentrano ognuna su obiettivi specifici, mentre noi possiamo gestire la strategia lungo termine. Il nostro obiettivo è far durare i Pokémon anche più di cento anni”. D’altronde, se c’è riuscito un topolino, perché non dovrebbe riuscirci un roditore in grado di lanciare potenti scariche elettriche?

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La competizione

In questi 3 giorni, centinaia di partecipanti si sono sfidati nelle 4 discipline: l’ultimo videogioco per Switch, ovvero Scarlatto e Violetto, il gioco di carte, Pokémon Go e Pokémon Unite, uno strategico a squadre in tempo reale in stile League of Legends. Il montepremi totale era di un milione di dollari, di cui 10mila per ogni primo posto.+

E tra queste centinaia di partecipanti l’Italia è sempre riuscita a dire la sua, considerando anche il differente bacino d’utenza. Abbiamo sempre piazzato giocatori tra i primi posti per quanto riguarda i videogiochi, vincendo il campionato del mondo nel 2013 con Arash Ommati, che quest’anno si è fermato al secondo giorno di competizioni.

Stavolta purtroppo, nonostante le grandi aspettative nella categoria Videogioco, ci siamo fermati tra i primi quattro, grazie al comunque ottimo piazzamento di Federico Camporesi. La vittoria finale è andata a Shohei Kimura, che ha battuto in finale il tedesco Michael Kelsch. Nel gioco di carte, invece, i nostri colori sono stati difesi da Benedetta Todaro, una delle giocatrici più forti al mondo, e da Alessandro Spanò, che è riuscito ad arrivare nei top 32 mondiali.

Tuttavia, non è stato un torneo senza polemiche. I videogiocatori devono presentarsi con una squadra di Pokémon al massimo livello per poter anche solo sperare di competere e questa squadra può essere ottenuta in 3 modi: spendendo moltissime ore giocando, scambiando Pokémon con chi li ha già al livello desiderato, usando programmi esterni che creano subito la creatura desiderata.

Molti atleti utilizzano questo metodo per poter stare dietro alle mille variazioni della scena competitiva e non dover spendere ore prezioso allevando i nuovi elementi da zero. Una soluzione tollerata, ma ufficialmente vietata. Fino a oggi in nessun torneo erano stati svolti controlli per certificare la bontà delle squadre, cosa che invece è avvenuta a questo Mondiale, con conseguente ecatombe di giocatori, quasi esclusivamente occidentali, che hanno visto azzerati mesi e mesi di duro lavoro. La situazione è molto più sfumata di un semplice antidoping: è un po’ come se il doping fosse stato tollerato fino alla finale dei 100 metri e poi improvvisamente fossero partiti gli esami a campione. Questo situazione si è aggiunta anche al fatto che per la finale è stata modificata una regola sui Pokémon ammessi e non tutti sono riusciti ad adattarsi.

Le gare sono divise per fasce d’età, visto che molte persone iniziano a giocare ai Pokémon da giovanissime e questo rende le competizioni qualcosa di diverso rispetto al classico spettacolo da arena esport. Che sia il gioco di carte o i videogiochi, ci sono genitori che guardano tesi da bordo campo come se fosse una partita di calcio, bambini da consolare per una brutta sconfitta, adolescenti tesi prima del debutto e addirittura giocatori ormai adulti che non solo continuano a competere, ma hanno i figli che iscritti fra gli junior.

D’altronde, a rendere longeva la carriera di chi gioca a Pokémon c’è senza dubbio la caratteristica di essere, essenzialmente, un gioco di strategia, quindi non legato tanto ai riflessi quanto alle capacità di ragionamento, matematica e organizzazione. Non a caso è stato spesso evidenziato che uno degli effetti collaterali dei bambini che giocano ai giochi di carte collezionabili è che sviluppano ottime conoscenze matematiche.

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Un’atmosfera differente

L’atmosfera che abbiamo respirato in questi giorni al Pacifico Center di Minato Mirai, ex quartiere portuale di Yokohama trasformato in una distesa di hotel, centri commerciali e parchi giochi, è unica e febbrile. Difficile da descrivere perché unico è il rapporto che il pubblico dei Pokémon ha con la propria passione, soprattutto quello giapponese.

All’apparenza è la solita folla festante, acquistante e giocante che si trova in qualsiasi evento di questo genere: un grande calderone pop in cui una community si celebra e spende tantissimi soldi per carte rare, memorabilia, gadget e quant’altro. Che sia un torneo esport, una convention dedicata al pubblico Marvel o a qualche videogioco, la sensazione di celebrazione collettiva è identica, ma i Pocket Monster creati da Satoshi Tajiri sono qualcosa di diverso. I Pokémon sono qualcosa di più: sono un orgoglio nazionale, un elemento importante della cultura popolare. E oltre a tutto questo sono stati una presenza costante nella vita di milioni di persone, come da noi. Persone che poi hanno passato il testimone ai figli, facendolo diventare un hobby di famiglia.

A oggi sono uno dei rarissimi marchi in grado di essere realmente transgenerazionali, inclusivi e versatili e di riuscirci senza particolari forzature. Giocano i bambini, giocano gli adulti, giocano i genitori con figli e figlie, spesso tramandando una passione che hanno coltivato fin da piccoli, giocano tantissime donne, molto più di quelle che normalmente potremmo trovare a un torneo di Magic o di qualche videogioco e tantissime persone di generi differenti hanno trovato nei Pokémon uno spazio sicuro e di accettazione: “Uno dei nostri motti riguarda l’unire il mondo attraverso i Pokémon, ed è uno dei pilastri del franchise – ha aggiunto Utsunomiya – Da sempre giocare a questo gioco vuol dire confrontarsi, parlare con gli altri, scambiarsi consigli e creature”.

E questo lo si percepisce perfettamente passeggiando per i padiglioni del torneo, guardando i sorrisi e le persone educatamente in coda per accaparrarsi un gadget speciale. Perché alla fine parliamo anche di questo, ovviamente: soldi, tantissimi soldi che arrivano dal gioco di carte, dai videogiochi mobile e non, dai milioni di gadget differenti, dai biglietti staccati dai film. In questi anni il marchio dei Pokémon non a fatto che crescere e a oggi è il franchise più redditizio al mondo, con un valore stimato di 100 miliardi di dollari, più di Hello Kitty, Topolino, Star Wars e molto più dei cinecomic della Marvel o di Harry Potter. Sono anni che fa registrare incassi record, con un guadagno nel 2022 di 350 milioni di dollari.

Certo, c’entra la nostalgia, il fatto che tantissime persone comprano qualsiasi cosa su cui sia scritta la parola Pokémon, in parte è anche la moda del mercato dedicato alle carte rare, ma forse anche la capacità di creare un marchio che negli anni è stato gestito con cura, mettendolo sempre al centro, appoggiandosi su una art direction di altissimo livello e senza creare muri ma solo ponti, di generazione in generazione.

Se pensiamo a un altro simbolo del Giappone come Godzilla, che di anni ne ha 68, non suona così strano pensare che un giorno avremo intere famiglie accomunate dalla passione per i Pokémon, partendo da nonni e bisnonni per arrivare a figli e figlie: “Il focus principale sono i più piccoli, e i bambini sono tremendamente onesti con quello che gli piace o non gli piace – è stata la riflessione finale di Utsunomiya – Inoltre, dovendo dipendere dai soldi dei genitori, sono anche attenti a capire come spenderli. Sono loro che generazione dopo generazione portano avanti la fiaccola e hanno permesso ai Pokémon di continuare a crescere”.

E adesso per vincitori e perdenti è il momento di ripartire con allenamenti e tornei: l’obiettivo è la finale del 2024, che si terrà a Honolulu. 



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Written by bourbiza mohamed

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