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«Covid, abbiamo due positivi»- Corriere.it


di Gigi Riva

Il 22 febbraio del 2020 era sabato e Bergamo viveva l’ultimo giorno di spensierata, a posteriori sciocca, inconsapevolezza

Com’eravamo, come siamo. Oggi, 22 febbraio, tre anni fa era di sabato e Bergamo viveva l’ultimo giorno di spensierata, a posteriori sciocca, inconsapevolezza. Il virus partito dalla Cina aveva già compiuto un lungo cammino fino a Codogno dove si era registrato il paziente numero uno. Eppure circolava la convinzione che non avrebbe compiuto l’ultimo balzo verso le Orobie: si sarebbe appurato in seguito che già circolava almeno da due mesi, non si era ancora dato un nome alle polmoniti anomale, refrattarie a qualunque antibiotico, che preoccupavano i medici di base. Sarà un’influenza di stagione più ostinata del solito. Si è ciechi davanti al pericolo, la reazione istintiva di allontanare da sé la paura del peggio, e le poche Cassandre subivano lo stesso destino della loro capostipite: non essere credute.

Ci si cullava nella gioia del recente ennesimo successo dell’Atalanta delle meraviglie che il 19 febbraio aveva battuto 4-1 il Valencia nell’andata dell’ottavo di finale della Champions League. In quarantamila erano andati a Milano per assistere al trionfo, un esodo con pochi precedenti. Ed era l’ultimo weekend di Carnevale, scaldato da un sole promettente che annunciava una primavera precoce. Sembravano precauzioni eccessive le decisioni di rimandare «per prudenza» la partita di campionato con il Sassuolo l’indomani, la chiusura per una settimana dell’università. Impazzavano i preparativi per i cortei delle maschere, le sagre paesane ed era al solito fitto il programma degli appuntamenti culturali. Solo nella testa di alcuni ronzava il rovello del pessimismo. Angelo Giupponi, direttore dell’Azienda regionale emergenza-urgenza di Bergamo, si risolse a mettere per iscritto i suoi timori. Inviò la seguente mail all’assessorato al Welfare della Lombardia: «Credo ci sia l’urgente necessità di allestire degli ospedali esclusivamente riservati a ricoverati per Covid 19, così da evitare promiscuità con altri pazienti e quindi la diffusione del virus nelle strutture ospedaliere». Ricevette una risposta lapidaria: «Non dormiamo da tre giorni, non abbiamo voglia di leggere le tue cazzate».

Benché la sera del 22 ci fosse già stato un ricovero sospetto all’ospedale Papa Giovanni, la vera emergenza scattò il 23, giorno dopo il quale niente sarebbe stato più lo stesso. La notizia di primo pomeriggio volò veloce di social in social: «Due casi di coronavirus, chiuso il pronto soccorso dell’ospedale di Alzano Lombardo». La decisione era stata presa dal direttore medico di quel nosocomio, Giuseppe Marzulli. Il dottor Marzulli, quella domenica mattina, si era concesso come d’abitudine un po’ di jogging per mantenersi in forma. Era rincasato verso mezzogiorno, lo aspettavano per il pranzo moglie, figlia e nipotino. Stava per infilarsi sotto la doccia quando squillò il telefono. Era il dottor Fabrizio Querci, medicina generale.

«Marzulli buongiorno, scusa la chiamata ma abbiano due positivi al Covid». «Querci, se è uno scherzo non ne ho nessuna voglia». «Figurati se scherzo». «Gli hai fatto tu l’anamnesi? Hanno avuto contatti con la Cina?». «No. Gliel’ho chiesto, uno mi ha risposto: la Cina al so gnach indòe l’è».

Marzulli, esperto epidemiologo, valutò: «Se è come dice Querci, se gli infettati non hanno avuto contatti con la Cina c’è una sola spiegazione, l’epidemia è già largamente diffusa sul territorio e i due casi sono la punta di un iceberg. Siamo nella merda». Dunque diede l’ordine: «Chiudete l’ospedale, anzi chiudete tutto. Io sto arrivando».

Fu dirottato, Marzulli, verso Seriate dove i vertici dell’Asst avevano convocato un consiglio di crisi. Durante il quale i suoi superiori, in continuo contatto telefonico con Milano, cercarono di convincerlo a riaprire. Il dottore tenne duro, lo obbligarono, e ancora oggi si chiede: «Perché due giorni prima a Codogno si agì in modo differente, si decise di chiudere e ad Alzano no? Cosa era cambiato?». Domande che si saranno fatte anche i magistrati che poi apriranno un’inchiesta. Due giorni dopo Giuseppe Marzulli scrisse una lettera rimasta famosa per denunciare «l’assurdità di tale decisione».

Verso sera i 243 sindaci dei paesi della Bergamasca furono convocati al Centro Congressi Giovanni XXIII per ascoltare in videoconferenza il presidente Attilio Fontana e l’assessore Giulio Gallera. Erano tutti senza mascherina tranne uno, il primo cittadino di Ambivere Silvano Donadoni, medico. Ricorderà: «Ero convinto che le mascherine le avrebbero distribuite all’ingresso, ne avevo portata una per precauzione. Un dirigente di Ats quasi mi derise perché mi ero protetto. Capii che eravamo partiti male». Gli stessi provvedimenti presi in quel consesso, risultarono, alla prova dei fatti, blandi.

Il resto, lo sapete. L’assoluta impreparazione, la mancanza totale di dispositivi di protezione individuale, la carneficina, i 6.000 morti della prima ondata, i carri militari per smaltire cadaveri perché la fabbrica della sepoltura aveva dichiarato la sua inadeguatezza. Infine la speranza, la rinascita. Come eravamo, come siamo. C’era una frase ripetuta all’ossessione che chiamava l’eco del punto esclamativo: «Ne usciremo migliori!». Avrebbe meritato il dubbio del punto di domanda. Ci riscoprimmo comunità, rispolverammo valori di solidarietà. L’abnegazione del personale sanitario che conterà parecchie vittime, le migliaia di volontari che si spesero per il prossimo, il prodigio dell’ospedale degli alpini costruito a tempo di record. Ma, tre anni dopo, i buoni propositi delle «autorità competenti» che si sono dissolti come nebbia alla fine dell’emergenza. Si sarebbe dovuta rafforzare la medicina di territorio, prima sacrificata sull’altare della politica dei grandi ospedali. E invece migliaia di persone sono senza medico di base. In generale la Sanità che si doveva rafforzare e invece subisce un taglio, ad esempio nel 2023, di due miliardi di euro. Certo è arrivato il vaccino, certo il Covid 19, nelle sue mutazioni progressive, fa ora molta meno paura. Eppure non c’è risposta sicura alla domanda fatale: cosa succede se arriva un’altra pandemia?

Gigi Riva è l’autore del libro «Il più crudele dei mesi, storia di 188 vite» (Mondadori editore) sulla prima ondata della pandemia

22 febbraio 2023 (modifica il 23 febbraio 2023 | 21:22)



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Written by bourbiza mohamed

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