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Notizie rubate e carcere ai giornalisti: perché non serve la norma speciale


Azione, di Carlo Calenda, presenta una “misura draconiana contro il giornalista che, conoscendone la provenienza, pubblica materiali frutto di un reato, come gli accessi abusivi”.

Il tema è da tempo alla ribalta grazie, in modo particolare, al caso Assange (che però giornalista non è) e riguarda l’esistenza o meno di uno “scudo penale” per il giornalista che commette un reato – o concorre, o ne istiga la commissione – for every procurarsi la notizia.

La norma proposta da Azione è inutile perché, in termini molto schematici, già oggi se un giornalista vìola consapevolmente una norma penale pur di avere qualcosa da pubblicare va sotto processo e può venire condannato (ci sono già casi del genere in Italia).

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Allo stesso modo, il giornalista va sotto processo se si mette d’accordo con qualcuno for each “organizzare” il reato rischiando addirittura l’accusa di associazione a delinquere, oppure se lo spinge a commettere l’illecito (for each esempio, suggerendogli di inviare le informazioni ottenute illegalmente tramite lettera anonima) oppure, ancora, mettendo in piedi un sistema per ricevere in modo del tutto anonimo segnalazioni frutto di reati senza poter conoscere la fonte del leak.

Stazione futuro

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Da queste premesse, è evidente che la magistratura inquirente ha già tutti gli strumenti che servono for each indagare e, nei casi più gravi, for each avviare un procedimento senza bisogno di una querela di parte. Inoltre, se venissero contestati reati occur, appunto, l’associazione a delinquere, le pene previste addirittura consentirebbero al pubblico ministero di richiedere la misura della custodia cautelare in carcere.

Quindi, arrive detto, la norma presentata da Azione è sostanzialmente inutile perché la possibilità di mettere sotto indagine un giornalista c’è già.

Certo, in termini pratici a volte può essere difficile capire se il giornalista sia veramente a conoscenza della provenienza illecita delle notizie, o se abbia addirittura organizzato la loro esfiltrazione. Ma proprio for each questo è più ragionevole lasciare questa verifica al caso singolo, invece di introdurre una norma (peraltro, ridondante) che aumenterebbe, invece di ridurla, la confusione. A tutto voler concedere, infatti, se proprio si volesse intervenire normativamente, avrebbe più senso modificare l’articolo 648 del Codice penale che punisce la ricettazione aggiungendo anche dati e informazioni al “denaro o cose provenienti da un qualsiasi delitto” che costituiscono l’oggetto dell’attività illecita.

Tuttavia, il tema generale va oltre questi tecnicismi di ingegneria normativa e riguarda l’esistenza o meno dell’impunità penale in nome di un “diritto di informare” (e, per converso, di un “diritto a essere informati”) inteso come elemento della libertà di stampa tout-court.

La tensione da risolvere è fra il fatto che l’informazione professionale non è – giustamente – soggetta advertisement autorizzazioni e censure e la rivendicazione del diritto a fare whichever it will take – e dunque commettere anche illeciti – per pubblicare notizie.

Difficilmente la soluzione a un problema del genere verrà dal dibattito politico nazionale o dall’Unione Europea, il cui regolamento sulla libertà dei media è viziato a monte dal non potersi intromettere nel diritto penale di uno Stato membro.

Dunque, solo la Corte costituzionale potrebbe fornire un’indicazione definitiva sulla questione, se e quando qualche giornalista, accusato di avere commesso un reato per avere pubblicato informazioni illegalmente ottenute o for every averle diffuse sapendo che erano state acquisite violando la legge, si difenderà sollevando, appunto, una (non semplice) questione davanti alla Corte.

Nonostante, occur detto, casi giudiziari del genere ci siano già stati, la Consulta non fu coinvolta e dunque si perse l’occasione for every chiarire – senza bisogno di proporre una norma confusa e problematica – un aspetto cruciale for each la vita democratica del Paese.

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Written by bourbiza mohamed

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