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Per avere ChatGPT su iPhone, Apple ha pagato OpenAI in visibilità


“Siamo entusiasti di collaborare con Apple per portare ChatGPT ai loro utenti in un modo nuovo”, scrive Sam Altman sul sito di OpenAI. “Insieme ad Apple, stiamo rendendo più facile per le persone beneficiare di ciò che l’IA può offrire”, aggiunge. E ha ragione: con l’accordo annunciato all’ultima WWDC, per ChatGPT, Dall-e e gli altri prodotti della sua azienda si apre un pubblico ancora più vasto, che potrà sperimentare le meraviglie dell’intelligenza artificiale generativa senza costi, senza iscrizioni, senza installare app o digitare indirizzi web. Un pubblico più ricco di quello che normalmente usa Android, e statisticamente più incline a pagare per contenuti di qualità, quindi più propenso ad abbonarsi a i prodotti di OpenAI, se dovesse considerarli utili per le sue attività. 

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Deve aver pensato proprio questo, Altman, quando ha accettato l’offerta di Apple, che pure ha discusso a lungo con Google per portare Gemini sui suoi prodotti (un’eventualità che comunque non rimane esclusa, anzi). Oggi l’app di ChatGPT è regolarmente disponibile su iPhone, ed è possibile abbonarsi alla versione a pagamento; in questo caso ad Apple va una percentuale pari al 30% degli incassi il primo anno, e del 15% dal secondo in poi. Chi è già abbonato potrà – sembra – utilizzare il suo account per le query di Siri. Ma attenzione: degli oltre due miliardi di iPhone venduti da Apple, una percentuale molto piccola potrà utilizzare tutte le funzioni di intelligenza artificiale mostrate alla Conferenza degli Sviluppatori. Servono infatti almeno 8 GB di RAM, e gli unici smartphone Apple che rispondono a questo requisito sono gli iPhone 15 Pro e Pro Max, i top di gamma presentati nel settembre 2023. Di più: OpenAI non può usare le richieste degli utenti iPhone per allenare i suoi modelli; deve cancellare ogni richiesta, che peraltro sarà inoltrata a OpenAI con IP mascherato, quindi sarà impossibile capire da chi proviene; ogni volta che una query viene inoltrata a ChatGPT, Siri chiederà all’utente il permesso di inviare dati. 

Mark Gurman su Bloomberg spiega che la collaborazione non porterà comunque entrate significative per nessuna delle parti, almeno all’inizio”: Apple non paga OpenAI, e OpenAI non paga Apple: per Tim Cook l’esposizione che l’integrazione di iOS 18 sta dando a OpenAI sarebbe “di valore uguale o superiore” rispetto a un’offerta in denaro. Come dire, Apple paga “in visibilità”.

C’è un ulteriore vantaggio per entrambe le aziende: evitare l’antitrust. Per OpenAI, che è sotto indagine per il rapporto con Microsoft, e potrebbe usare l’accordo con Apple per convincere la Federal Trade Commission americana che il suo non è un monopolio e che non sta violando le regole della concorrenza. E per Apple, che non potrà essere accusata di chiudere la porta a una o all’altra piattaforma AI, perché con ogni probabilità fra qualche mese si potrà scegliere di utilizzare almeno Gemini in alternativa a OpenAI. 

Apple prevede infatti di stabilire accordi di revenue sharing con le aziende di intelligenza artificiale, per cui a Cupertino andrebbe una parte dei ricavi generati dai partner che monetizzano i loro servizi sulle sue piattaforme, un po’ com’è successo finora con Google per il motore di ricerca di Safari.

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Written by bourbiza mohamed

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