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Da calamita a catapulta, il modello NExT Innovation per portare l’innovazione sul territorio


Siamo all’ex cotonificio Somaini di Lomazzo, spettacolare esempio di ristrutturazione di archeologia industriale di fine 800 e sede di ComoNeXT, Innovation Hub nato nel 2010.
“Nel 2016” racconta Sefano Soliano, Direttore Generale di ComoNExT e Amministratore Delegato di C.Next, “ci siamo accorti che spesso i luoghi come questo, in Italia e in Europa, sono bellissimi condomini, in cui si ospitano imprese innovative e si offrono loro servizi di base e poco più”.

Questo in ComoNExt era vissuto come un limite. “Per usare uno slogan il tema era passare da essere calamita a essere catapulta” continua Soliano. Fuor di metafora, singifica mettere a fattor comune le competenze che ci sono all’interno e riuscire a “gettarle” verso l’esterno, riuscendo a influenzare le aziende meno innovative che stanno fuori con progetti di innovazione sviluppati nell’hub.

L’ex cotonificio Somaini di Lomazzo (Co), sede di ComoNExT. 

Per fare questo è stato creato un vero e proprio modello, formalizzato da un patto con tutte le aziende dell’Innovation Hub.
Per spiegarlo con le parole di Soliano “Si tratta di un vero e proprio un modello contrattuale, registrato con il nome di Next Innovation, un patto di sistema che coinvolge anche gli stakeholder”.

In pratica gli hub C.Next, a partire dalla capostipite e primus inter pares ComoNExT, funzionano come centro di imprese innovative all’interno di un territorio, e sono al al centro di un sistema di stakeholder che ha quattro componenti:

1. Le imprese che stanno fuori dal polo e che sono imprese tradizionali, “le classiche pmi italiane che hanno varie necessità di trasformazione, da quella digitale alla transizione ecologica”.
2. Le istituzioni: la Camera di commercio che di fatto rappresenta le imprese, e le associazioni di categoria: Confindustria, Confartigianato ecc. “Questi corpi intermedi hanno un problema di rappresentanza: fanno sempre più fatica a chiedere ai loro associati le quote associative per ricevere servizi che sono sempre più vicini a commodities e sempre meno a valore aggiunto”.
3. Le università e i centri di ricerca, “ovviamente importantissimi in un contesto di innovazione, che a loro volta hanno il problema di fare molta fatica a parlare con le imprese, a mettere in pratica la cosiddetta terza missione, soprattutto sulle pmi, che dal canto loro fanno fatica ad accedere alla ricerca di base universitaria”.
4 . Il mondo dei capitali, dalle banche per il capitale di debito, ai fondi venture capital ai business angels, “che hanno voglia di immettere liquidità in un sistema di innovazione”.

“In mezzo ci sono, nel caso di ComoNEexT, le nostre 140 aziende innovative, poco più di mille persone (età media 34 anni), una community, sempre meno territoriale, di aziende in grado di portare elementi di innovazione”.

“Per fare un passo indietro, dal mondo delle imprese arrivavano richieste alle nostre imprese innovative, del tipo ‘devo cambiare il processo produttivo’, ‘devo cambiare un materiale per essere green’, ‘voglio sviluppare l’ecommerce’… Qui da noi c’erano un paio di ingegneri bravi che indirizzavano queste richieste alla startup giusta o mettendo in contatto l’azienda con l’università e il centro di ricerca competente. Intorno al 2016 iniziava però a cambiare la complessità che le aziende si trovavano ad affrontare: temi come smart factory, industria 4.0, stava emergendo l’importanza dei dati, della robotica, dell’automazione, della realtà virtuale, e poi la cybersecurity, la manifattura addittiva, la blockchain…”
Risultato: le domande che arrivavano da ‘fuorì si facevano quindi più frequenti e più complesse.

Ed è qui che è arrivato il cambio di modello: “Siamo andati dalle aziende innovative che ospitavamo e abbiamo chiesto di mappare le loro competenze in modo dettagliato, per poter sapere come rispondere alle richieste dall’esterno unendo i puntini della nostra rete nel modo più adatto per risolvere lo specifico task richiesto. In questo modo possiamo creare ogni volta un gruppo di consulenza ad assetto variabile usando le risorse interne. Un gruppo di lavoro gestito però da noi, dai nostri innovation manager e Cto. Il problema viene quindi affrontato e risolto dal gruppo di lavoro, poi le persone tornano nelle rispettive aziende. Il che ci consente di non sostenere costi fissi di personale specializzato, ma di sceglierlo di volta in volta”.

Un modello vantaggioso per tutti: le aziende trovano risposte alle loro necessità di sviluppo tecnologico, il mondo delle associazioni è interessato per definizione, dato che fanno parte integrante del modello, sono soci del polo e quindi lo “vendono” ai loro associati, portandolo sul mercato.
Università e centri di ricerca sono contenti perché quando servono competenze che mancano all’interno le chiediamo a loro, che possono mandare un loro ricercatore nel team con un contratto di ricerca e possono interagire con il territorio secondo un approccio industriale.
Infine il mondo dei capitali è ovviamente interessato a che partano progetti di innovazione nelle aziende.

Continua Soliano: “Tutto il modello Next Innovation si basa su un tema fondamentale, che è la fiducia. In un sistema dove ci sono tanti soggetti, ciascuno dei quali fa cose diverse, è necessario che chi si impegna a fare una cosa la faccia e faccia quella cosa. Abbiamo quindi lavorato molto sul contratto che oggi è costituito da tre documenti:

1 il modello spiegato sopra,

2 un documento che definisce soggetti e ruoli, chi fa che cosa all’interno del sistema,

3 un codice etico, come ci si comporta quando si lavora insieme.

Su tutti c’è un ulteriore documento che è il contratto quadro con le regole di ingaggio. In questo modo tutte le volte che arriva un progetto, avendo tutti già firmato la Next Innovation (conditio sine qua non per entrare nel polo tecnologico ndr), le regole sono già chiare, si deve fare solo un minimo di fine tuning per adattarsi allo specifico progetto”.

Una volta messo a punto il contratto, come funziona nella pratica l’avvio di un progetto?

“Per coinvolgere le imprese esterne abbiamo chiesto agli stakeholder un contributo per avviare un progetto che si chiama Innovation Ramp Up” – spiega Soliano – “Facciamo capire agli imprenditori e al management delle aziende interessate tutti i cambiamenti che stanno avvenendo in generale nel mondo dal punto di vista della tecnologia presente e futura, invitandoli da noi per un paio di giorni in una sorta di luna park dell’innovazione (Ramp Up 1), da cui di solito escono abbastanza terrorizzati.
Se c’è interesse andiamo da loro a fare una ‘fotografia’ dell’azienda, una sorta di macro assessment da cui esce un documento che evidenzia i possibili punti deboli da rinforzare (Ramp Up 2). In pratica non facciamo altro che razionalizzare delle sensazioni che l’imprenditore ha già.
A questo punto se sono interessati ad andare avanti con noi facciamo loro una proposta per il progetto da realizzare (Ramp Up 3)”.

In tutto questo, che ruolo ha C.Next?
“C.Next è nata perché il modello nato a Como ci è stato chiesto da altri territori, ed è per portarlo fuori che abbiamo costituito questa nuova Spa a capitale privato, una società benefit che ha come compito la creazione di altri Innovation hub sul territorio nazionale. Quando riceviamo una richiesta andiamo a fare un assessment di 6 mesi, commissionato e pagato dal territorio, per decidere se ha senso fare il polo. Se ha senso si dà il via al progetto: viene costituita una nuova società, la Cnext territoriale, partecipata per il 51% da C.Next e per il 49% dagli stakeholder del territorio (tra i quali Camera di commercio, banche locali e fondazioni universitarie) che costuisce un luogo in cui riunire le aziende interessate. Il tutto entra a far parte della comunità dei C.Next”.
In pratica C.Next fa da holding delle diverse realtà territoriali, oltre a coordinare i progetti per le grandi corporation, che superano l’ambito locale.
Al momento è stato costituito l’hub di Ivrea, e sono in fase di costituzione quello di Ascoli Piceno e Novara, che dovrebbero partire entro l’anno, mentre è nella raccolta del capitale l’hub di Nord Milano, nell’area di Arese. L’obiettivo è arrivare a un totale di 10 centri in Italia e uno all’estero entro i prossimi 5 anni. Le dimensioni minime sono 15mila metri quadrati.

La chiusura di Soliano insiste su un tema: “Il ruolo di metaorganizzatori che ci siamo presi come C.Next ci richiede la massima trasparenza. Il rapporto tra i nostri tecnici e le aziende è di grande fiducia, ma alla fine è questo che fa funzionare il business”.



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Written by bourbiza mohamed

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