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Chi c’è dietro ad Arc, il browser che piace a tutti e sfida Chrome e Safari


Secondo Bloomberg “permette di ripensare le basi di come usiamo il Web”, per The Verge è un prodotto “eccellente” e a parere della redazione di Inverse è addirittura “il miglior browser uscito nell’ultimo decennio”. Non che ne siano usciti tanti, a essere onesti.

Del resto, creare un nuovo browser non è facile, soprattutto perché quelli che già esistono tendono a uccidere qualsiasi nuovo arrivato: secondo dati aggiornati a giugno 2023, Chrome e Safari hanno insieme oltre l’83% del mercato e agli altri restano solo le briciole. È anche un po’ colpa nostra e delle nostre abitudini, ma resta il fatto che quella per i browser sembra una battaglia persa in partenza, da cui anche colossi come Microsoft sono usciti con le ossa rotte (Edge e il morente Explorer hanno poco più del 5% del mercato).

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youtube: l’estetica di Arc

Made in New York, non nella Valley

In questo scenario si inserisce Arc, che sarebbe appunto “il miglior browser uscito nell’ultimo decennio”: la notizia di questi giorni è che è finalmente disponibile per tutti in versione Mac e iOS, dopo essere stato a lungo accessibile solo su invito (la variante per Windows è attesa entro fine anno). Ma la notizia è appunto anche un po’ che esista un nuovo browser.

Che cosa spinge qualcuno a creare un nuovo programma per la navigazione online, che dopo trent’anni è ancora lo strumento fondamentale con cui accediamo alla Rete? Come fare per emergere e distinguersi? Sin qui, le alternative a quelli più diffusi hanno puntato più o meno tutte sulla stessa cosa: la privacy. Ovvero maggiore libertà, minore tracciamento, minore censura: questa è (sarebbe) la cifra distintiva dei vari Tor, DuckDuckGo, Firefox Focus e simili. Arc no: punta su altro, punta a essere “un sistema operativo per Internet” e a reinventare il nostro rapporto con la Rete. A stravolgerlo, anche.

Rilasciato il 19 aprile 2022, Arc si basa su Chromium (la stessa architettura di Chrome), è compatibile con le varie estensioni del browser di Google e anche usa Google come motore di ricerca di default. Lo ha sviluppato una startup che però ha sede a New York e non nella Silicon Valley, che è già una bella differenza rispetto ai rivali: si chiama The Browser Company, è stata fondata da Josh Miller e Hursh Agrawal e fra i dipendenti ha un certo Darin Fisher. Sono 3 nomi importanti, nella storia di Internet: Miller e Agrawal sono stati co-founder di Branch, una startup per la condivisione di link che nel 2014 fu comprata da Facebook per 15 milioni (e hanno poi lavorato quasi due anni nell’azienda di Zuckerberg); soprattutto, Fisher è un programmatore che ha contribuito a creare Netscape, ha lavorato per 16 anni su Chrome e poi su Neeva. Non sono degli sprovveduti, insomma.

Una variante di Gmail creata con Arc

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Le caratteristiche di Arc e i motivi del successo

Nata nel 2020, The Browser Company ha raccolto sin qui 18 milioni di dollari di finanziamenti da una ventina di investitori diversi: ha decisamente un buon pedigree, che è un buon biglietto da visita ma da solo non basta. E allora perché Arc piace così tanto? Perché sta avendo tutto questo successo, soprattutto fra gli addetti ai lavori? Probabilmente perché prova a smuoverci un po’ dalle abitudini di cui si diceva prima, che è una cosa che odiamo fare ma che anche amiamo (provare a) fare.

Senza entrare nei dettagli di come è fatto Arc dal punto di vista stilistico e nell’uso quotidiano (che è facile verificare, se si ha un Mac o un iPhone), il punto di tutto è che davvero questo browser prova a cambiare il nostro rapporto con la Rete. In modo positivo, però: niente tab in orizzontale ma Spazi in verticale (dove vengono raggruppate le tab e i bookmark) e ampia disponibilità di strumenti per fare più cose insieme, dal prendere appunti alle videochiamate, tutto mentre si naviga, e soprattutto la possibilità di ridisegnare praticamente qualsiasi sito secondo i propri gusti.

La funzione si chiama Boost (Potenziamento, in italiano) e in sintesi permette di cambiare l’aspetto grafico di un intero sito o solo di una parte, di cambiare il font e le sue dimensioni, di nascondere un pezzo di una pagina e metterne in evidenza un altro. Appunto per adattare la navigazione alle proprie esigenze e non viceversa. Forse non è una cosa alla portata di tutti, e magari all’inizio si combinerà qualche pasticcio, ma non è necessario farla e comunque si può facilmente tornare indietro. E poi c’è già un’ampia gallery di Boost già fatti (da chi evidentemente li sa fare) che si possono importare dentro ad Arc e provare senza fatica.

Ma non c’è solo questo: di fondo sembra anche esserci quella filosofia che punta a una tecnologia più trasparente e meno invadente, che sta prendendo piede proprio in questi anni in cui dalla tecnologia rischiamo di essere travolti. È la stessa idea di semplicità che ha portato TikTok a permettere post di solo testo al posto dei video, la stessa che nel mondo degli smartphone è molto ben interpretata da quelli di Nothing. È onestamente una buona idea, ora resta da vedere se il trio di The Browser Company riuscirà ad applicarla al competitivo ambiente dei browser.

@capoema

 



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Written by bourbiza mohamed

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