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Hikikomori, chi sono i 66mila giovanissimi eremiti d’Italia


Il termine nasce in Giappone negli anni Settanta, dove il fenomeno si diffuse per la prima volta. Gli hikikomori erano giovani che si ritiravano nelle loro stanze, privandosi di ogni contatto con il mondo esterno: “Si tratta di un ritiro sociale estremo e volontario perché si presenta in assenza di altre patologie. I ragazzi si chiudono in camera loro, senza contatti con il mondo esterno, tranne, a volte, via internet“, spiega la psicologa specializzata dell’associazione Psicologo fuori studio Caterina Bertolini.

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Il fenomeno si sta diffondendo anche in occidente. Lo studio dell’Istituto Superiore di Sanità di Roma uscito lo scorso gennaio, intitolato “Dipendenze comportamentali nella Generazione Z: uno studio di prevalenza nella popolazione scolastica (11-17 anni) e focus sulle competenze genitoriali” ha rilevato che ci sono circa 66.000 casi di hikikomori in Italia, con una leggera prevalenza nella fascia d’età compresa tra gli 11 e i 13 anni.

Questo dato si sovrappone in parte a quanto emerso da un’altra ricerca condotta dal CNR, in particolare dall’Istituto di Fisiologia Clinica del Consiglio Nazionale delle Ricerche di Pisa che ha identificato 54.000 casi di hikikomori nella fascia d’età compresa tra i 15 e i 19 anni.

“Con l’Associazione psicologo fuori studio – aggiunge Bertolini – ci occupiamo della gestione di questi ragazzi, un fenomeno che in Italia si sta purtroppo diffondendo. Cerchiamo di creare un rapporto con loro, anche se il più delle volte il loro intento è quello di passare inosservati. Dietro questo nascondersi si celano una gran sofferenza un dolore psicologico. Il ritiro sociale è una strategia che loro trovano per venire meno a senso di vergogna, di inadeguatezza e alle loro paure”.

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Per questo la rete di psicologi approccia questi soggetti con un metodo particolare: “Lavoriamo da un lato il ragazzo e dall’altro con la famiglia – prosegue l’esperta -. Quando si riesce facciamo raggiungere al ragazzo lo studio, ma il più delle volte siamo noi ad andare a domicilio due volte a settimana per due ore, perché questi ragazzi hanno difficoltà a creare relazioni e non sono consapevoli della loro sofferenza. Ci vuole molto tempo anche per creare una relazione, così iniziamo con attività semplici come ascoltare musica, giocare ai loro videogiochi, cucinare, fare una passeggiata insieme”.

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Attraverso queste attività è possibile, in secondo luogo, costruire uno spazio di ascolto, fiducia e cambiamento anche su un piano più profondo e “psicologico”. L’intento dello Psicologo Fuori Studio è quello di attivare e supportare le capacità e le risorse del ragazzo, del suo contesto di vita e della rete di professionisti coinvolti, verso un recupero delle sue piene risorse e potenzialità.

Una problematica, quella del ritiro sociale estremo, che si presenta in prevalenza in fase adolescenziale, soprattutto nel passaggio dalle medie alle superiori, una fase di vita estremamente complessa per gli adolescenti. Ma come riconoscerla nelle prime fasi?

“I genitori devono fare attenzione ai segnali d’allarme, tra cui la difficoltà a stringere rapporti con i pari, che spesso viene confusa con timidezza estrema, oppure ragazzi che smettono gradualmente di andare a scuola e il fatto che preferiscano chiudersi nella loro camera piuttosto di fare qualsiasi altra cosa”.

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Il ruolo della tecnologia

“A volte si dà la colpa a nuove tecnologie per lo sviluppo fenomeno – continua Bertolini -, sicuramente questo ha un grande impatto, ma a volte la rete è l’ultimo contatto con il mondo che questi ragazzi mantengono, poi arriva un momento in cui chiudono tutte le comunicazioni anche online. Certo, interagire per tante ore con questi strumenti può essere un fattore di rischio. Per questo, nel nostro approccio terapeutico, cerchiamo di usare con loro questi strumenti, videogiocare insieme e condividere per capire come venga utilizzata rete, difficile che pubblichino contenuti”.

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Written by bourbiza mohamed

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