in

Indi, slitta ancora il termine per il distacco delle macchine: l’appello per il trasferimento della giurisdizione in Italia si discuterà domani. Il padre: “Mia figlia non merita di morire”

LONDRA – Il termine per sospendere la ventilazione artificiale di Indi Gregory slitta ancora. L’appello sulla possibilità di trasferire la giurisdizione del caso al giudice italiano verrà infatti discusso domani a partire dalle ore 12 ora inglese (le 13 in Italia) e di conseguenza il termine per il distacco dei supporti vitali è prorogato fino all’esito di tale udienza. Lo fanno sapere i legali della famiglia Gregory. La notizia arriva da Jacopo Coghe, portavoce di Pro Vita & Famiglia onlus, e dall’avvocato Simone Pillon, che stanno seguendo gli sviluppi del lato italiano della vicenda in contatto con i legali inglesi e la famiglia.

Nel pomeriggio il termine era stato prorogato di due ore, dalle 14 alle 16 ora britannica (le 17 in Italia), apparentemente grazie a un ultimo appello, presentato dal Console italiano di Manchester, Matteo Corradini. Stamattina, nella sua qualità di tutore legale della bambina nel nostro Paese, il diplomatico ha presentato una richiesta all’Alta Corte britannica di cedere la giurisdizione del caso alla magistratura italiana.

Se il ricorso non verrà accolto, rimarrà valido il verdetto del giudice inglese Robert Peel, secondo il quale, “nell’interesse di Indi”, ovvero per non prolungare la sua sofferenza con cure palliative giudicate inutili e dolorose dai sanitari dell’ospedale di Nottingham in cui è ricoverata, il supporto vitale deve essere sospeso quest’oggi.

Mentre continua la battaglia legale internazionale, il padre della bimba, Dean Gregory, non vuole smettere di sperare: “Il nostro sogno per Indi è quello di portarla in Italia, non merita di morire, è ancora una bambina che respira e le batte il cuore”, afferma. “Quello che sta accadendo è la cosa più disumana e crudele che abbiamo mai vissuto su questa terra, preghiamo per un miracolo”. E si dice convinto che all’ospedale del Bambino Gesù di Roma, che si è offerto di accoglierla, sua figlia potrebbe essere prima aiutata a respirare meglio “con uno stent”, quindi curata con nuove terapie. “Sappiamo che lei è una combattente, vuole vivere e non merita di morire”, conclude il genitore.

Anche la Conferenza Episcopale Italiana sembra intervenire sulla questione, in un comunicato con cui richiama il valore della vita e sottolinea come oggi ci siano “troppe vite negate, la vita dei malati e disabili gravi viene giudicata indegna di essere vissuta, lesinando i supporti medici e arrivando a presentare come gesto umanitario il suicidio assistito o la morte procurata”.

Ma il parere dei medici inglesi è che la malattia mitocondriale di cui soffre Indi non dia speranze di alcun progresso e che l’accanimento terapeutico sul corpicino di una bambina di appena otto mesi possa soltanto farle del male. Dopo vari gradi di giudizio, l’Alta Corte di Londra ha accolto questo parere, così come aveva fatto in passato in altri due casi analoghi di due bambini inglesi, Alfie Evans e Charlie Gard, anch’essi colpiti da mali incurabili, anch’essi difesi da associazioni religiose e dal Bambino Gesù di Roma, entrambi morti quando è stato poi loro tolto il supporto artificiale. In quelle vicende giudiziarie, come in questa, la giustizia britannica ritiene che talvolta, per lo straziante dolore davanti a un figlio malato, i genitori non siano la parte più adatta a decidere se staccare o meno il polmone artificiale. Per questo gli ospedali inglesi si dotano di consiglieri legali che proteggono l’interesse dei minori anche dagli stessi genitori, se questo è necessario.



Leggi di più su repubblica.it

Written by bourbiza mohamed

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Humane AI Pin, lo smartphone senza display che permette di indossare l’intelligenza artificiale

“Suo figlio ha fatto un incidente…”: anziani truffati a Bologna. A segno un bottino di 100 mila euro