TEL AVIV – Ieri una colonna di sfollati palestinesi con bandiere bianche è sfilata a piedi sulla strada Salah ad-Din, che corre da Nord verso Sud nel mezzo di Gaza City, accanto a carri armati israeliani immobili e piazzati allo scoperto. Il video è circolato molto sui canali telegram privati che ogni ora danno aggiornamenti in arabo da Gaza, ma non sui canali di Hamas perché il gruppo palestinese aveva ordinato fin dall’inizio della guerra agli abitanti del Nord della Striscia di non abbandonare le case e non andare a Sud – come invece chiedono gli israeliani con lanci di volantini tutti i giorni – e tende a scoraggiare questo spostamento.
Una parte della popolazione non ascolta la richiesta e si muove, sebbene le incognite siano molte perché anche a Sud le condizioni sono tragiche e il rischio di essere bombardati è alto. Hamas per sedici anni ha esercitato un controllo assoluto sulla Striscia, ma adesso che è sotto attacco è più debole e comincia a perdere la presa su una parte dei palestinesi di Gaza. Ogni giorno l’esercito israeliano annuncia brevissimi cessate il fuoco che riguardano soltanto un tratto ben definito di strada e durano al massimo tre ore per consentire alla popolazione di passare attraverso un varco prestabilito, ma ci sono ancora centinaia di migliaia di persone chiuse all’interno dell’assedio di Gaza City.
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C’è un effetto ritardo di circa tre giorni tra le posizioni che l’esercito israeliano dice di avere raggiunto e quelle che dove invece è davvero, per ragioni di sicurezza. Il risultato è che i soldati israeliani sono più dentro Gaza City di quanto sembra, ma ieri il generale a capo del comando Sud, Yaron Finklestein, ha gettato via le cautele dei giorni precedenti e ha dichiarato che «in queste ore stiamo combattendo nei centri più importanti della Striscia. Per la prima volta da decenni, l’Idf è nel cuore di Gaza City, nel cuore del terrore».
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Secondo gli abitanti del campo profughi di al Shati, che da anni è diventato il quartiere Nord della città, i cecchini israeliani hanno preso il controllo degli edifici più alti e sparano «contro chiunque si muova». È in quel campo che una settimana fa le squadre speciali hanno liberato la soldatessa Uri Megidish rapita il 7 ottobre e tenuta dentro un appartamento, segno che la presenza di Hamas in quella zona si è ridotta.
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Da al Shati se si prosegue verso Sud si arriva all’ospedale al Shifa, che da giorni sembra essere l’obiettivo finale delle operazioni israeliane dentro Gaza perché il portavoce militare sostiene che nasconde nei sotterranei il centro di comando di Hamas. La distanza da coprire comincia a essere poca. Da Nord e da Sud, dove sono le truppe israeliane, mancano circa un paio di chilometri, e da Est – dove è stato girato il video con le bandiere bianche e i carri armati – manca poco di più. La grande maggioranza della Striscia è ancora però nelle mani di Hamas, che anche ieri, dopo un mese di guerra, ha sparato razzi in direzione di Tel Aviv – tutti intercettati o finiti in mare. Ieri i soldati israeliani durante l’avanzata hanno trovato postazioni di tiro e missili in un campo scout e in un luna park.
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Il ministro della Difesa israeliano, Yoav Gallant, per il secondo giorno di seguito ha parlato del leader di Hamas, Yahia Sinwar, come di una persona bloccata dentro a un bunker. «È seduto nel suo bunker e ha sempre meno contatti con i suoi comandanti all’esterno», ha detto. Le ipotesi sono due: o Gallant sta facendo guerra psicologica e vuole spingere Sinwar a muoversi con questa storia del sappiamo che sei dentro a un bunker, oppure vuole che questa idea di Sinwar seduto dentro a un bunker diventi l’immagine dominante di questa invasione di terra, in modo che un futuro assedio finale a quel bunker diventi il simbolo della vittoria. Gallant non dice dove si trova questo bunker, ma le dichiarazioni dei militari battono sempre in una sola direzione: i sotterranei dell’ospedale al Shifa. Secondo un rapporto dell’Idf citato dalla radio Kol Israel «ci sono decine di migliaia di civili intorno all’ospedale di al Shifa come scudi umani di Hamas».