Fino al 3 maggio nello spazio espositivo del più noto gallerista italiano l’incontro tra le opere dell’artistar anglo-indiano e dell’italiano teorico dell’assenza
L’uomo sulla soglia, il teorico dell’assenza — la sua — e del vuoto apparente, il malinconico ermetico, sublima il niente e suggerisce domande che restano sospese. Il feticista del nero assoluto, invece, si muove in uno spazio liquido: dentro e fuori, tra spirito e materia, fisico e metafisico.
Giulio Paolini abusa del bianco e delle forme precarie, irrisolte, cui infonde un desiderio potenziale. Anish Kapoor è attratto dai luoghi che ingoiano se stessi, dagli inganni percettivi, da pulsioni opposte, da oggetti psicanalitici che eludono i confini. I due artisti hanno assecondato le allucinazioni di Massimo Minini — lui la definisce incoscienza, noi lo chiamiamo genio — e amalgamato le proprie attitudini per celebrare i cinquant’anni della galleria (portati con patto diabolico): l’artistar anglo-indiana ha sovrapposto la sua presenza, le sue ferite e i suoi mitologici specchi, a quella del collega, di cui era già in corso una mostra. È un flirt tra il bianco e il nero, tra geometrie perfette e forme al tempo stesso concave e convesse. Un incontro tra opere mentali, platoniche, e opere prepotenti, che assorbono luce e energia.
«L’esposizione — racconta Paolini, sfinito dagli autografi, dai baci e dagli abbracci della vernice — è un evento originale, storico. Non si tratta di un capriccio di Massimo e nemmeno di un evento premeditato. Piuttosto, è un’intuizione molto preziosa. Le assonanze tra me e Anish non vanno considerate come affinità: siamo due artisti autonomi che, grazie a questa occasione, trovano un terreno sotterraneo comune. Tra noi, c’è una familiarità dinastica ma non stilistica: siamo entrambi noi stessi e, insieme, qualcosa dell’altro».
«Io e Giulio, che ammiro da quando sono un ragazzo — racconta Kapoor — siamo approdati a una visione molto simile della vita, molto essenziale. Questa mostra non è un progetto: è il destino (dura fino al 3 maggio, ndr)».
In un certo senso, i dioscuri fanno un monumento all’invisibile: come dice Minini, l’esposizione restituisce la ricerca di due artisti che sembrano opposti se guardati in modo distratto, ma che in realtà hanno lo stesso fine, costruire uno spazio di rappresentazione. «Mi è stato chiesto come mai ho avuto l’incoscienza di avanzarvi questa richiesta di duplice esposizione: grazie per aver consentito con grande curiosità reciproca», scrive il gallerista nel comunicato stampa (definirlo così è blasfemo, ci perdonerà). «Il risultato è che qui la differente posizione non crea una cesura ma una collaborazione. L’opera bianca, tutta vuota, e l’opera nera che invece accoglie tutti i colori fino a mimetizzarsi nel nero più assoluto, sono come una supernova e un buco nero. La prima rimanda allo spettatore la sua densità di luce e di pensiero, la seconda trattiene in sé l’energia che l’autore carica nell’opera. In entrambi i casi i lavori sono fonti e accumulatori di pensiero che dall’autore allo spettatore, e viceversa, dall’oggi al domani, dall’ordine al disordine, veicolano concetti e significati».
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26 febbraio 2023 (modifica il 26 febbraio 2023 | 03:59)
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