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«Scrivere il copione dello spettacolo è stato doloroso ma liberatorio»- Corriere.it


di Donatella Tiraboschi

Francesca Maltese e Rossana Locatelli lavorano al Papa Giovanni: hanno vissuto i giorni bui della pandemia e «reciteranno» on «Giorni muti, notti bianche». L’idea è nata da un messaggio del primario della Medicina d’Urgenza: «Ragazzi, tutto questo non va dimenticato»

Con lo spettacolo «Giorni muti, notti bianche» sul palco di tre teatri, tra Bergamo e Brescia, porteranno in scena loro stessi. Con le loro mani, il loro cuore, i loro camici. Nient’altro intorno. Una recitazione difficile, crudele, amplificata dagli aspetti emotivi che arriveranno allo spettatore come un pugno nello stomaco. Doloroso, di un male che a distanza di tre anni nessuno di loro ha dimenticato e che diciannove, tra medici e infermieri del Papa Giovanni XXIII di Bergamo, vogliono consegnare alla memoria di tutti. «Perché la mia paura più grande è che tutti dimentichino in fretta quello che è successo», racconta la dottoressa Francesca Maltese, 36 anni, di Villa di Serio, specializzata in geriatria e assunta nel Pronto Soccorso della struttura bergamasca («è come se fosse la mia famiglia») poco prima di quell’iradiddio, scoppiato nel gennaio del 2020.

La memoria ha cristallizzato i ricordi. «Gli sguardi che i pazienti ci lanciavano dai Cpap, il rumore dei respiratori, i corridoi del Pronto Soccorso strapieni, l’arrivo di ambulanze su ambulanze — riavvolge il nastro —, e poi il dolore che ci sovrastava, insieme alla rabbia. Ma sopra di tutto, più forte, dominava la tenerezza, la scoperta di un “prendersi cura” delle persone che andava ben oltre la semplice cura della malattia. La capacità inattesa di costruire con i parenti dei malati una sorta di intimità, di una vicinanza oltre la lontananza».

Certi sguardi imploranti, ammette, «mi sono rimasti dentro, come preghiere silenziose da esaudire. Un ospedale pieno di voci, di vita e di morte dentro, e fuori un silenzio mai ascoltato, un vuoto mai visto». Impossibile dimenticare. Doveroso ricordare. Ma come? «Tutto è nato da un messaggio che il 20 marzo del 2021 il dottor Massimiliano De Vecchi, responsabile della Medicina d’Urgenza dell’ospedale ci ha inviato nella chat: “ragazzi, quello che è successo non va dimenticato”. Da qui è nata l’idea di uno spettacolo teatrale che ha coinvolto un piccolo gruppetto di operatori sanitari del Papa Giovanni e che, passo dopo passo, ci ha indirizzato alle persone che potevano darci una mano a metterlo in scena. E a curare le ferite». Ecco, il potere taumaturgico del teatro. Raccontare per rivivere e guarire. «Abbiamo pianto tanto per arrivare a scrivere un copione nel quale sono finite tutte le storie che ci portavamo dentro», rivela la dottoressa Maltese con una punta di commozione che le attraversa la voce.

La stessa che si riconosce nel timbro di Rossana Locatelli, 46 anni di Almenno San Bartolomeo, infermiera che sulla sua pelle ha davvero vissuto i giorni muti e le notti bianche che danno il titolo allo spettacolo. «Ci siamo trovati in cerchio e abbiamo dato sfogo a tutto quello che per tanto tempo io stessa mi sono tenuta dentro. Mi avevano suggerito di rivolgermi ad uno psicologo, quando il dramma si stava placando. Ma non me la sono sentita. Preparare i testi dello spettacolo è stato liberatorio, le emozioni sono sgorgate fuori, tra le lacrime, tante, che ognuno di noi ha versato. Ma la condivisione del dolore aiuta a sentirsi meno soli e a guarire. Portando in scena quello che abbiamo vissuto, siamo riusciti a fare quello che, nei tempi più terribili, non ci era permesso, e cioè consolarci a vicenda».

In quei giorni di primavera non c’era tempo: «In un primo momento eravamo presi dagli aspetti di gestione di una grande emergenza, culminata con l’attivazione del Pemaf, il piano di emergenza per il massiccio afflusso dei feriti. In una stanza c’erano ricoverati 26 pazienti gravi ai quali stringevo le mani. Li accarezzavo. Il virus non mi faceva paura. Ricordo lo sguardo di una malata molto anziana, una donna che sicuramente aveva già passato due guerre e che tradiva incredulità per quello che stava vivendo. Eppure, tanti come lei sono riusciti ad affrontare e a superare tutto questo».

Una terza guerra combattuta a fianco di medici come Francesca e infermieri come Rossana che sul palco insceneranno cori e danze. Quadri, frame scenici, spezzoni di vita vera. «Come il gesto semplice di togliersi un camice — conclude Rossana —. A fine turno, uscivo, respiravo l’aria a pieni polmoni e guardavo il cielo. In quei giorni era di un azzurro e di una bellezza mai visti».

25 febbraio 2023 (modifica il 25 febbraio 2023 | 07:58)



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Written by bourbiza mohamed

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