di Piero Rossano
Il reporter casertano e il suo viaggio tra «le vite invisibili» sul litorale domizio, dove le ragazze africane vittime della tratta sono costrette a prostituirsi. Per aver loro dato sostegno e aiuto è stato anche pestato a sangue
«Non voglio più fare questa vita: mi toglie il respiro, mi fa sentire sporca, una persona diversa da quella che sono. Ma il debito che devo saldare è ancora enorme…». Joy, nome di fantasia, 22 anni (veri), ha vissuto l’infanzia e l’adolescenza in un villaggio aggrappato al Delta del Niger finché amici di amici non l’hanno convinta ad arrivare in Italia. «Mi avevano promesso un lavoro di parrucchiera, una cosa che io facevo già». E invece ora si trova a prostituirsi ai margini della Statale Domiziana, nel territorio di Castel Volturno, e a raccontare la sua storia a Giovanni Izzo, il «fotografo degli invisibili». Che di vicende dello stesso tenore, trame intrise di violenza, orrore e solitudine, ne ha raccolte per anni riempiendo i rullini della sua Leica e appuntando su un taccuino quelle che riteneva più amare. Le esperienze di Izzo sono spesso sfociate in reportage d’autore, volumi fotografici, mostre di successo.
Dove la mafia nigeriana controlla ogni cosa
Giovanni Izzo, da Grazzanise, quella parte del Casertano immediatamente alle spalle del litorale domizio denominata “Mazzoni” e conosciuta per gli allevamenti di bufale e la mozzarella che si produce sul posto, non si è limitato solo a catturare le immagini di tanto dolore e sopraffazione. Con questa umanità dolente, dimenticata e incontrata sulle strade, il fotografo ha spesso empatizzato fino a vincere la paura anche solo di un contatto con l’esterno, contribuendo a salvare dalla strada con le sue segnalazioni e una rete di amicizie molte giovani donne vittime della tratta. Anche a suo rischio e pericolo, come quando il “protettore” di alcune ragazze avvicinate gli ruppe naso e mandibola a pugni: «Te ne devi andare da qui, che c… di idee le metti in testa?». Violenza aggiunta a violenza in una striscia di terra dove la mafia nigeriana controlla ogni cosa di illecito, dal mercato del sesso a quello della droga, stringendo patti con i clan locali ormai disarticolati.
Joy e Aminah, dal sequestro alle violenze
Joy racconta di aver contratto un debito da 35mila euro con i suoi aguzzini. Ne ha restituiti finora 8mila, propone alla “madam” di estinguere la cifra un tot al mese guadagnandosi da vivere in un negozio di coiffeur che ha pure individuato. Come risposta ottiene percosse. Poi la ragazza viene trascinata in una stanza e torturata con un chiodo rovente, infine le vengono spente delle sigarette sui seni. Una storia di ordinario orrore in questi posti, che agli occhi dei distratti possono sembrare anche ospitali – il mare a due passi, una pineta rigogliosa a fare da cerniera con l’entroterra, spiagge di sabbia finissima – ma che sono nella realtà l’inferno sulla terra. Nella vicina Ischitella, altra località di Castel Volturno, Giovanni Izzo raccoglie le confidenze di un’altra vittima della tratta. La chiameremo Aminah. A 17 anni la ragazza viene rapita dalla propria abitazione, sempre in Nigeria: gli scagnozzi dell’uomo presso il quale lavorava suo padre si vendicano così per il mancato risarcimento del danno causato ad un’auto dell’azienda. Solo che in quell’incidente in cui il mezzo si è sfasciato Aminah ha perso il genitore e la famiglia è rimasta senza alcun reddito. La ragazza arriva in Italia dopo tre mesi trascorsi da reclusa in una struttura di Abuja, sottoposta a violenze fisiche e psicologiche. Il suo approdo è a Genova, due giorni dopo è già sulla strada: avviata alla prostituzione. Si rifiuta e corre dai carabinieri a denunciare la sua vicenda. Viene soccorsa, fatta riparare in alcune strutture protette fino a giungere in una casa famiglia di Mondragone, sempre sul litorale domizio. Al cui interno, però, deve fronteggiare un nuovo tentativo di violenza sessuale a cui per fortuna sfugge.
Sul piccolo e sul grande schermo
Izzo raccoglie narrazioni e cattura immagini che non svelano mai l’identità delle vittime di tanta crudeltà. S’imbatte anche in storie a lieto fine, come quella della “madam buona” che da carnefice delle sue giovani connazionali ha un soprassalto e ne diventa di colpo paladina, sfidando la mafia e subendo a sua volta inenarrabili atrocità. In questi anni i suoi lavori sono stati al centro di produzioni Rai, dell’istituto Luce, di mostre personali e collettive. I suoi scatti in bianco e nero hanno anche ispirato registi. Con Romano Montesarchio, ad esempio, Izzo ha collaborato nel documentario Ritratti abusivi ed ha avuto una parte in Black mafia; ha poi lavorato con Edoardo De Angelis nel film Il vizio della speranza. Giovanni Izzo corre ancora con la sua Leica al collo da un lembo all’altro del litorale: dove c’è un’immagine da catturare e, con essa, una vita da recuperare.
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