Sarebbero tre i veneti indagati nell’ambito della nuova inchiesta su Unabomber. E tra loro, stando alle indiscrezioni filtrate nelle ultime ore, comparirebbe anche il «nome nuovo», l’unico che finora non era mai entrato nelle vecchie inchieste che hanno tentato – inutilmente – di individuare la vera identità del bombarolo che a cavallo tra gli anni Novanta e i primi Duemila disseminò di ordigni esplosivi il Nordest. Anche nei suoi confronti la stessa procura di Trieste si mostra molto cauta: a indicarlo è un testimone «la cui attendibilità appare problematica e tutta da verificare», ha spiegato il procuratore capo Antonio De Nicolo sottolineando come, più in generale, l’iscrizione nel registro di tutti gli indagati (sono undici in totale) sia un «atto dovuto» per non invalidare, sotto il profilo giuridico, l’incidente probatorio che è stato richiesto al giudice per le indagini preliminari.
Analisi genetiche sui vecchi reperti
Giovedì sera le persone finite nel fascicolo degli inquirenti hanno ricevuto l’avviso della procura di Trieste che li informava dell’intenzione, da parte del pm Federico Frezza, di sottoporre ad analisi genetiche dieci elementi di prova che furono sequestrati all’epocasui luoghi degli attentati. Si tratta soprattutto di quelli che vengono definiti «reperti piliferi», capelli probabilmente. Come quello trovato all’interno di una confezione di uova-esplosive acquistata nel 2000 in un supermercato di Portogruaro, e quelli recuperati da un ordigno (anch’esso rimasto inesploso) trovato in un vigneto a San Stino di Livenza. E pare esserci anche il nastro adesivo nel quale già in passato furono individuate tracce biologiche che furono comparate con il Dna di Elvo Zornitta, l’ingegnere di Azzano Decimo (Pordenone) che per molti anni è stato considerato il principale sospettato, salvo poi scoprire che un poliziotto aveva falsificato la principale prova contro di lui, un lamierino la cui estremità combaciava con le forbici sequestrate nel suo capanno.
La voce di Zornitta
All’epoca, la comparazione tra i due profili genetici – quello di Zornitta e quello estratto dal nastro adesivo – diede esito negativo. Ma presto si tornerà ad analizzare quei reperti che per anni sono rimasti nei depositi del tribunale. «Sono contento siano riprese le indagini, spero solo che le verifiche si concludano in tempi rapidi» ha ribadito anche ieri l’ingegnere friulano, pure lui indagato, come gli altri dieci, per il reato previsto dall’articolo 280 del codice penale: attentato per finalità terroristiche. «Non conosco nessuna delle altre persone finite nell’elenco della procura. Scopro che quasi tutti erano già stati sospettati, però solo il mio nome fu dato in pasto all’opinione pubblica: per molto tempo, sono stato l’unico “mostro”, con il risultato che questa faccenda ha distrutto me e la mia famiglia». Zornitta si sente di dare un unico «consiglio» agli altri dieci indagati: «L’inchiesta fa parte della prassi giudiziaria ma, se si è innocenti, prima o poi la verità viene sempre a galla».
La richiesta delle vittime
La riapertura del fascicolo
sulla trentina di attentati attribuiti a Unabomber tra Veneto e Friuli (l’ultimo, una bottiglia esplosiva scoppiata nel molo del porto di Caorle, risale a quasi diciassette anni fa) è la conseguenza della richiesta avanzata lo scorso anno da due delle vittime: Greta Momesso, che era appena una bambina quando, il 13 marzo del 2005, rimase gravemente ferita alla mano sinistra per lo scoppio di un cero nel duomo di Motta di Livenza; e Francesca Girardi, che all’età di 9 anni perse la funzionalità di un occhio e della mano destra per aver raccolto un evidenziatore esplosivo sul greto del fiume Piave, il 25 aprile del 2003 a Fagaré di San Biagio di Callalta. A fine novembre la procura di Trieste confermato la riapertura dell’inchiesta che ora, con le analisi del Dna su quei dieci reperti, potrebbe forse arrivare a una svolta.
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21 gennaio 2023 (modifica il 21 gennaio 2023 | 08:41)
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